Edizione 2017

Kader Abdolah e la ricerca del coraggio

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Lunedì 20 novembre, ore 12, Istituto Tecnico Industriale Fauser, via Ricci 14, Novara.
Incontro con i giovani a partire da Il corvo (Iperborea).

Kader Abdolah, pseudonimo di Hossein Sadjadi Ghaemmaghami Farahani, è nato ad Arak nel 1954. Scrittore iraniano naturalizzato olandese, è un rifugiato politico in Occidente e scrive le sue opere in olandese. Dopo aver pubblicato due raccolte di racconti, adottando come pseudonimo i nomi di due esponenti dell’opposizione, Kader e Abdolah, le autorità scoprono in lui un membro attivo dell’opposizione. Deve abbandonare il suo Paese nel 1985, insieme alla moglie, per trasferirsi in Turchia, fino a quando entra in contatto con una delegazione olandese delle Nazioni Unite. La sua opera è spesso incentrata sulla vita tra due culture, quella originaria dell’Iran e quella adottiva dei Paesi Bassi. Dell’autore si ricordano Scrittura cuneiforme e La casa della moschea, per i lettori olandesi il secondo miglior libro olandese di sempre.

 

Il corvo (Iperborea): In questo romanzo d’ispirazione autobiografica, il rifugiato iraniano Refid Foaq narra il lungo viaggio della sua vita: dalla falegnameria del padre, fervente musulmano, dove cresce il suo spirito curioso e ribelle, a Teheran, dove giovane universitario entra nella resistenza contro gli ayatollah e, dopo mille avventure, viene salvato in extremis dalla giovane che diventerà sua moglie, fino alla fuga, l’approdo in Olanda e la scommessa di una nuova identità che concili passato e presente, l’operaio alla catena di montaggio e l’aspirante scrittore deciso a realizzare con la nuova lingua – quella della libertà – l’antica vocazione letteraria. Una lingua, quella di Abdolah, che si arricchisce di colore e ispirazione, nell’incontro tra Oriente e Occidente, e in cui l’avventura di una vita diventa quella di un intero popolo di migranti sospeso tra due mondi, che trova nell’apertura e nello scambio la via per dare nuovi orizzonti alle proprie radici.

«Nei racconti della tradizione persiana c’è sempre un corvo che vola in cielo»

Saverio Tommasi e la ricerca della paternità

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Lunedì 20 novembre, ore 11, Istituto Professionale Bellini, via Liguria 5, Novara.
Incontro con i giovani a partire da Siate ribelli, praticate gentilezza (Sperling&Kupfer).

Lunedì 20 novembre, ore 18, Biblioteca Civica Negroni, corso Cavallotti 6, Novara.
Incontro con l’autore, a colloquio con Barbara Bozzola, in diretta streaming.

Saverio Tommasi, nato a Firenze nel 1979, è un attore, scrittore, blogger e documentarista freelance. Nel 2004 ha fondato una compagnia di teatro alla quale ha dato il suo nome. Nel suo ultimo romanzo racconta se stesso alle proprie figlie con grande spontaneità e affrontando i temi che più gli stanno a cuore: la tolleranza, i diritti dei più deboli, la lotta per l’uguaglianza, la denuncia di qualunque forma di razzismo e i pericoli della rete.

 

Siate ribelli, praticate gentilezza (Sperling&Kupfer): «Un pilota perde un secondo a giro a ogni figlio che gli nasce» diceva Enzo Ferrari. È una frase bellissima. Significa capire che c’è qualcosa di più importante fuori da sé, e che quando ti nasce un figlio il successo non si misura più con i traguardi con cui l’hai misurato fino a quel momento. I figli sono l’occasione che ti regala la vita di guardarti allo specchio. Tutto quello che sei, quello in cui credi, quello per cui lotti non sono più solo il tuo modo di stare al mondo, ma si caricano di una nuova responsabilità. Da quando sono arrivate Caterina e Margherita (quattro anni e due scarsi), per Saverio raccontare storie con immagini e parole non è più solo un modo per fare il proprio lavoro. È gettare sul mondo uno sguardo che sarà, almeno inizialmente, anche il loro, è fare scelte di cui a loro più che a chiunque altro dovrà rendere conto.

«Crescete pure ma rimanete piccole, figlie mie. Fate dispetto a chi vi vorrebbe senza sogni pericolosi»

Enrico Palandri e la ricerca delle radici

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Lunedì 20 novembre, ore 11, Liceo Artistico, Musicale e Coreutico Felice Casorati, via Greppi 18, Novara.
Incontro con i giovani a partire da L’inventore di sé stesso (Bompiani).

Enrico Palandri, nato a Venezia nel 1956, è scrittore e traduttore italiano. Si è trasferito a Londra nel 1980 dove ha lavorato come istruttore linguistico per i cantanti d’opera e giornalista (collaborando con Rai, Bbc e numerosi giornali). Insegna all’UCL e dal 2003 anche Letterature comparate un semestre ogni anno all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Boccalone (1979) è il suo primo romanzo e in
seguito ha collaborato con Marco Bellocchio alla scrittura del film Diavolo in corpo (1986). Nei suoi romanzi affronta costantemente eventi storici e sociali che lo hanno toccato da vicino: il movimento studentesco del ’77, il terrorismo politico, il crollo del muro di Berlino.

 

 

L’inventore di sé stesso (Bompiani): Gregorio Licudis raggiunge in ospedale il figlio e la nuora che hanno appena avuto un bambino e chiede che venga chiamato con il suo nome, un nome che viene da molto lontano.
La devozione ossessiva che l’anziano professore tributa agli antenati – un casato scomparso, una lunga lista di principi, ministri, ammiragli della Serenissima – diventa il basso continuo di una vicenda che parla di famiglie, di nobiltà antica e denaro recente, di vigne e vini, di una Venezia e un Oriente leggendari.
E mentre il figlio ripercorre a ritroso le vie degli antichi commerci misurando i suoi viaggi su quelli dell’avo Gianrico – precettore di Pietro il Grande – nella vita del padre s’insinua Alexandra, appena arrivata dall’ex Unione Sovietica. Bellissima e remota, la donna riesce in breve a disegnarsi con ferina naturalezza un ruolo decisivo tra le icone, i samovar e i tappeti di casa. Un’altra scheggia dell’Est in una storia veneziana che ha il suo degno epilogo a Pietroburgo, nella semplice verità di un esercizio d’amore.

«Le piaceva che non ci fossero consuetudini, perché la vita era troppo ricca e stramba per costruirle»

Margherita Oggero e la ricerca di un’amicizia

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Domenica 19 novembre, ore 16,30, Circolo dei lettori, via Rosselli 20, Novara.
Tè del pomeriggio con l’autrice di Non fa niente (Einaudi) a colloquio con Valeria Balossini.

Margherita Oggero è un’insegnante e scrittrice torinese. Ha esordito nella narrativa nel 2002 con il romanzo La collega tatuata (Mondadori) da cui è stato tratto il film Se devo essere sincera, per la regia di Davide Ferrario con Luciana Littizzetto e Neri Marcorè. Tra i suoi romanzi: Una piccola bestia ferita, L’amica americana e Qualcosa da tenere per sé tutti editi da Mondadori. Ha scritto i soggetti della fortunata serie di Rai1 Provaci ancora prof ispirata ai suoi libri.

Non fa niente (Einaudi): «Può esistere un amore di madre che non contempli l’esclusiva? La natura ha davvero leggi così rigide da non ammettere eccezioni?» Esther e Rosanna stipulano un patto, per qualcuno forse scandaloso, inaccettabile. Un patto che cambia per sempre le loro vite. Nel 1933, in uno dei momenti più cupi per l’Europa, Esther ha dovuto lasciare Berlino, il suo innamorato, la sua libertà, ogni promessa di futuro. Ora è una giovane donna colta, dall’intelligenza tormentata, la cui eleganza sconcerta l’arcigna suocera piemontese. Rosanna invece è cresciuta in mezzo alle risaie, non ha potuto studiare e la sua bellezza le ha giocato un brutto tiro trasformandola in fretta in una creatura determinata e sensuale, ansiosa di cambiare la sua esistenza. Cos’abbiano in comune due donne così, non ci vorrà molto a scoprirlo. Sono vive nonostante tutto, profondamente capaci di amare e d’insegnarsi qualcosa l’un l’altra. Un giorno Esther domanda a Rosanna di aiutarla ad avere un figlio «come nella Bibbia fece Agar per Abramo e Sara». Il loro universo non esclude affatto gli uomini. Esther è legata al marito Riccardo da una complicità generosa e Rosanna ama Nicola con un’irruenza passionale, che trova negli assolo e nelle improvvisazioni jazz la sua colonna sonora. Intanto il mondo va avanti e le interroga senza risparmiarle: dalla guerra alla Torino postbellica che si avvia alla ricostruzione, passando per Bartali e Togliatti, gli anni delle rivolte studentesche e il terrorismo, fino alla caduta del muro di Berlino. I giorni si riempiono di cose da fare, giacche di pannofix, segreti condivisi, paure, entusiasmi, scommesse, Fiat 1100 che arrancano su autostrade pericolose appena costruite. È la vita che corre, la vita di due amiche che non saranno mai più sole.

«Può esistere un amore di madre che non contempli l’esclusiva?»

Gianrico Carofiglio e la ricerca di un rapporto

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Domenica 19 novembre, ore 15, Libreria Mondadori, via Cavour 4, Vercelli.
Incontro e firma copie di Le tre del mattino (Einaudi).

Gianrico Carofiglio, nato a Bari nel 1961, è scrittore, politico ed ex magistrato. Nel 2002 ha esordito nella narrativa con Testimone inconsapevole (Sellerio) inaugurando il filone del thriller legale italiano. Dopo il mandato parlamentare ha dato le dimissioni dalla magistratura per dedicarsi completamente alla scrittura. I suoi libri hanno venduto cinque milioni di copie e sono stati tradotti in ventotto lingue.

 

Le tre del mattino (Einaudi): Antonio è un liceale solitario e risentito, suo padre un matematico dal passato brillante; i rapporti fra i due non sono mai stati facili. Un pomeriggio di giugno dei primi anni Ottanta atterrano a Marsiglia, dove una serie di circostanze inattese li costringerà a trascorrere insieme due giorni e due notti senza sonno. È così che il ragazzo e l’uomo si conoscono davvero, per la prima volta; si specchiano l’uno nell’altro e si misurano con la figura della madre ed ex-moglie, donna bellissima ed elusiva. La loro sarà una corsa turbinosa, a tratti allucinata a tratti allegra, fra quartieri malfamati, spettacolari paesaggi di mare, luoghi nascosti e popolati da creature notturne. Un viaggio avventuroso e struggente sull’orizzonte della vita. Con una lingua netta, di precisione geometrica eppure capace di cogliere le sfumature più delicate, Gianrico Carofiglio costruisce un indimenticabile racconto sulle illusioni e sul rimpianto, sul passare del tempo, dell’amore, del talento.

«E papà suonò da solo. Io non lo avrei confessato nemmeno a me stesso, ma ero orgoglioso e fiero di lui»

Franco Buffoni e i giovani poeti

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Domenica 19 novembre, ore 12,30, Fondazione Adolfo Pini, corso Garibaldi 2, Milano.
“Lyra giovani: una nuova generazione di poeti”, con Franco Buffoni che presenta l’esordio di Marco Corsi (Pronomi personali) e Maddalena Bergamin (L’ultima volta in Italia).

Franco Buffoni, uno dei maggiori poeti e traduttori italiani, è noto anche come talent scout nel campo della poesia e quest’anno inaugura una nuova collana “Lyra giovani” presso Interlinea lanciando le voci di Marco Corsi con Pronomi personali e di Maddalena Bergamin con L’ultima volta in Italia: appena trentenni, sono stati scelti per iniziare questo nuovo progetto editoriale.

 

 

 

 

L’ultima volta in Italia (Intelinea): «Chi ha detto che questo è il paese / del mare non sa delle nostre giornate / su tangenziali padane, della periferia / latina malmessa e delle grigie ore / che ci separano dalla vista del sole» scrive Maddalena Bergamin, giovane talento della parola, con uno sguardo lucido di «occhi che bruciano». L’autrice, che vive a Parigi, racconta in versi le stagioni, la vita e le passioni, tra attese e delusioni, con freschezza e originalità attraverso una «parola / che si ritorce e che cade / sui vetri rotti». È un libro su un’Italia personale, lontana e interiore.

Pronomi personali (Interlinea): Una promessa della poesia italiana secondo Franco Buffoni. In questa raccolta, che inaugura la serie “Lyra giovani”, i “pronomi” del titolo sono le immagini che ci avvolgono e che sono “personali” perché c’è la necessità di un soggetto forte, un “io” che vorrebbe diventare un io di tutti. Marco Corsi cerca di mettere insieme, con le parole, una piccola “ragione emotiva”, tra razionalità e ferita sentimentale, per permettere il passaggio a una dimensione più ampia di significato e di esistenza: «Lavoriamo per giorni sopra le parole; da giorni lavoriamo silenziosi intorno al nero. […] disegniamo immagini nere e silenziose. Lavoriamo di silenzio e di nero. Un nero che sembra la notte».

Gian Luca Favetto e la ricerca della parola

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Sabato 18 novembre, ore 20, Piccolo Teatro Grassi, via Rovello 2, Milano.
Reading con musica di Fabio Barovero a partire da Il viaggio della parola (Interlinea).

Gian Luca Favetto è nato nel 1957 a Torino. Scrittore, giornalista, drammaturgo, critico teatrale e cinematografico, conduce anche programmi radiofonici su RadioRai e collabora con “Repubblica”. Gioca nella Nazionale Italiana Scrittori nel ruolo di portiere. Oltre che poeta è autore di libri di narrativa come La vita non fa rumore (Mondadori) e Premessa per un addio (NN editore).

 

Il viaggio della parola (Interlinea): «Nel tintinnare delle parole è la prova che la lingua cammina» scrive Gian Luca Favetto nel nuovo viaggio letterario che fa fare alle parole: è un itinerario dall’autore al lettore, da una scrivania di Torino alle strade di New York, nella consapevolezza che «l’alfabeto è l’immaginazione del mondo». Ogni testo in poesia è un passaggio, una svolta, un frammento del mosaico che compone il mondo dei libri, a partire dall’atto creativo di chi «semina le parole come briciole» usando un computer che «scrive a penna / anche il silenzio scrive / e non lo dice». In ogni momento (pure nel lavoro dell’editore che «rosicchia le parole… le fa sue in pasto al mondo») c’è un cuore che batte lungo questo viaggio ed è il tempo: «verrà porterà via il mio amore, / ho imparato e lo lascio andare». Così Favetto riesce a dare un’anima ai libri e alla scrittura perché in fondo «soltanto la parola custodisce».

«Nel tintinnare delle parole è la prova che la lingua cammina, nessuna lapide la imprigiona»

Francesco Sole e la ricerca dell’autenticità

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Sabato 18 novembre, ore 17, Circolo dei lettori, Broletto, via Rosselli 20, Novara.
Reading musicale.

Francesco Sole, all’anagrafe Gabriele Dotti, è nato a Modena nel 1992. Dopo il liceo classico e la facoltà di Economia arriva al successo improvvisamente grazie ai video caricati su YouTube con temi quali i primi amori e il rapporto con i social network. La portata raggiunta è tale da farlo debuttare sul piccolo schermo al fianco di Belén Rodríguez nel format di Maria De Filippi Tú sí que vales. Come interprete è apparso nel film di Fausto Brizzi Forever Young, mentre ha pubblicato i libri Stati d’animo su fogli di carta, Mollato cronico e Ti voglio bene. #poesie, editi da Mondadori.

 

 

Ti voglio bene #poesie (Mondadori): Le #poesie che hanno generato milioni di visualizzazioni sul web diventano un libro: «Da quando ho iniziato a scrivere poesie ho trovato il coraggio di esprimere ciò che provo, senza vergognarmi di condividere gli aspetti e le sensazioni più forti della mia vita. Proprio attraverso la condivisione ho imparato che siamo tutti contenitori di emozioni. Ciò mi ha permesso di togliere quella maschera che troppo spesso la società ti obbliga a indossare. Abbiamo bisogno di amore, chiarezza, sincerità, felicità e gentilezza. Ed è per questo che vi invito a fare lo stesso. Attraverso queste pagine le mie parole diventano vostre: potete aggiungere versi, decorarle, farne tesoro e poi condividerle con le persone a voi più care attraverso i social network usando #tivogliobene. Vi basterà un click sull’hashtag per riconoscervi negli occhi di qualcun altro».

«Proprio attraverso la condivisione ho imparato che siamo tutti contenitori di emozioni»

Matteo Strukul e la ricerca della gloria

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Venerdì 17 novembre, ore 11, Aula Magna Istituto Tecnico Industriale Leonardo Da Vinci, via Aldo Moro 13, Borgomanero.
Incontro con i giovani a partire da I Medici. Decadenza di una famiglia (Newton Compton).

Venerdì 17 novembre, ore 18, Circolo dei lettori, via Rosselli 20, Novara.
Incontro con Matteo Strukul, a colloquio con Eleonora Groppetti.

Matteo Strukul vive tra Padova, dov’è nato, Berlino e la Transilvania. Dottore di ricerca in Diritto europeo dei contratti, appassionato di musica rock, birra e hockey su ghiaccio, ha pubblicato romanzi, biografie musicali e albi a fumetti, oltre ad avere effettuato traduzioni. Ha fondato con Matteo Righetto il movimento letterario Sugarpulp e il 2017 è l’anno della sua consacrazione con il premio Bancarella per il primo romanzo su I Medici.

 

 

 

 

I Medici. Decadenza di una famiglia (Newton Compton): La Parigi del diciassettesimo secolo è l’essenza del vizio e della violenza. Maria de’ Medici, da poco sposa di Enrico IV di Borbone, si trova ben presto a fare i conti con le mire rapaci di Henriette d’Entragues. Con un documento scritto, Enrico stesso ha promesso alla propria favorita di prenderla in moglie, e ora quel foglio è l’arma con la quale ricattarlo. Ma non è l’unica minaccia: un’altra arriva da un gruppo di nobili che cospirano per rovesciare il trono. Avvertendo che le sorti proprie e del re sono sempre più critiche, Maria decide allora di affidarsi a Mathieu Laforge, spia e sicario abilissimo, capace di sventare più di una congiura. Ma la regina non sa ancora che il suo destino sarà segnato dalla lotta costante contro coloro che vogliono la fine del suo regno. Quando Enrico IV di Borbone muore, vittima dell’ennesimo complotto, all’orizzonte si profila, inarrestabile, l’ascesa di un astro di prima grandezza della politica francese: il cardinale di Richelieu. Sarà proprio lui, dopo la morte del re, ad acquisire un potere sempre maggiore, tradendo colei che più di chiunque altro ne aveva favorito la fortuna: Maria de’ Medici.

«Le domande non costavano fatica. Le risposte invece erano tutt’altra storia»

Alessandro Barbero e la ricerca della memoria

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17 novembre, ore 10,30, Castello di Novara, piazza Martiri della Libertà, Novara.
Lezione magistrale di Alessandro Barbero sul tema Raccontare e spiegare le guerre in occasione dell’uscita del libro Caporetto (Laterza).

Alessandro Barbero, nato a Torino nel 1959, è uno storico, scrittore e professore universitario all’Università del Piemonte Orientale, specializzato in storia militare e storia del Medioevo. Nel 1996 ha vinto il premio Strega con Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo (Mondadori). Collabora con la Rai per vari programmi tra cui SuperQuark, Il tempo e la storia, a.C.d.C. ed è membro del comitato di redazione della rivista “Storica” e collabora con alcuni quotidiani nazionali tra cui “La Stampa” e “Il Sole 24 Ore”.

 

Caporetto (Laterza): Alle due del mattino del 24 ottobre 1917, i cannoni austro-tedeschi cominciarono a colpire le linee italiane. All’alba le Sturmtruppen, protette dalla nebbia, andarono all’assalto. In poche ore, le difese vennero travolte e la sconfitta si trasformò in tragedia nazionale. Oggi sappiamo che quel giorno i nostri soldati hanno combattuto, eccome, finché hanno potuto. Ma perché l’esercito italiano si è rivelato così fragile, fino al punto di crollare?
Da cent’anni la disfatta di Caporetto suscita le stesse domande: fu colpa di Cadorna, di Capello, di Badoglio? I soldati italiani si batterono bene o fuggirono vigliaccamente? Ma il vero problema è un altro: perché dopo due anni e mezzo di guerra l’esercito italiano si rivelò all’improvviso così fragile? L’Italia era ancora in parte un paese arretrato e contadino e i limiti dell’esercito erano quelli della nazione. La distanza sociale tra i soldati e gli ufficiali era enorme: si preferiva affidare il comando dei reparti a ragazzi borghesi di diciannove anni, piuttosto che promuovere i sergenti – contadini o operai – che avevano imparato il mestiere sul campo. Era un esercito in cui nessuno voleva prendersi delle responsabilità, e in cui si aveva paura dell’iniziativa individuale, tanto che la notte del 24 ottobre 1917, con i telefoni interrotti dal bombardamento nemico, molti comandanti di artiglieria non osarono aprire il fuoco senza ordini. Un paese retto da una classe dirigente di parolai aveva prodotto generali capaci di emanare circolari in cui esortavano i soldati a battersi fino alla morte, credendo di aver risolto così tutti i problemi. In questo libro Alessandro Barbero ci offre una nuova ricostruzione della battaglia e il racconto appassionante di un fatto storico che ancora ci interroga sul nostro essere una nazione.

«L’illusione che al di là del fiume ci fosse la salvezza»