L’inventore di sé stesso

Enrico Palandri e la ricerca delle radici

Posted on Updated on

Lunedì 20 novembre, ore 11, Liceo Artistico, Musicale e Coreutico Felice Casorati, via Greppi 18, Novara.
Incontro con i giovani a partire da L’inventore di sé stesso (Bompiani).

Enrico Palandri, nato a Venezia nel 1956, è scrittore e traduttore italiano. Si è trasferito a Londra nel 1980 dove ha lavorato come istruttore linguistico per i cantanti d’opera e giornalista (collaborando con Rai, Bbc e numerosi giornali). Insegna all’UCL e dal 2003 anche Letterature comparate un semestre ogni anno all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Boccalone (1979) è il suo primo romanzo e in
seguito ha collaborato con Marco Bellocchio alla scrittura del film Diavolo in corpo (1986). Nei suoi romanzi affronta costantemente eventi storici e sociali che lo hanno toccato da vicino: il movimento studentesco del ’77, il terrorismo politico, il crollo del muro di Berlino.

 

 

L’inventore di sé stesso (Bompiani): Gregorio Licudis raggiunge in ospedale il figlio e la nuora che hanno appena avuto un bambino e chiede che venga chiamato con il suo nome, un nome che viene da molto lontano.
La devozione ossessiva che l’anziano professore tributa agli antenati – un casato scomparso, una lunga lista di principi, ministri, ammiragli della Serenissima – diventa il basso continuo di una vicenda che parla di famiglie, di nobiltà antica e denaro recente, di vigne e vini, di una Venezia e un Oriente leggendari.
E mentre il figlio ripercorre a ritroso le vie degli antichi commerci misurando i suoi viaggi su quelli dell’avo Gianrico – precettore di Pietro il Grande – nella vita del padre s’insinua Alexandra, appena arrivata dall’ex Unione Sovietica. Bellissima e remota, la donna riesce in breve a disegnarsi con ferina naturalezza un ruolo decisivo tra le icone, i samovar e i tappeti di casa. Un’altra scheggia dell’Est in una storia veneziana che ha il suo degno epilogo a Pietroburgo, nella semplice verità di un esercizio d’amore.

«Le piaceva che non ci fossero consuetudini, perché la vita era troppo ricca e stramba per costruirle»